Negli anni 70, le Langhe non erano come le conosciamo oggi. La vita era molto dura e c’era scarsità di uno degli elementi fondamentali della nostra quotidianità: l’acqua. Le colline erano costellate da pozzi con cui recuperare acqua, ma spesso questi si prosciugano sul finire dell’estate o sul principio d’autunno. Le cose cambiarono negli anni 80, quando la tecnica con la quale l’acqua era distribuita cambiò radicalmente, per via di gigantesche tubature che dalle Alpi, grazie alla forza di gravità, pompavano acqua su tutte le colline delle Langhe.
L’acqua pulita è stata uno degli elementi chiave per lo sviluppo della viticoltura di qualità e per il miglioramento dell’igiene in cantina, come raccontano molti viticoltori di vecchia data.
Fino agli anni 80, la maggior parte dei viticoltori vendeva le proprie uve ai mercanti o alle grandi cantine, che facevano di tutto per spuntare un prezzo vantaggioso. A volte, fino a quando l’uva non stava per marcire, non facevano nessun tipo di offerta. Era un modo diverso, difficile, nel quale la viticoltura non permetteva il sostentamento e i viticoltori erano anche agricoltori ed allevatori. Fattorie vere e proprie che coltivavano grano ed allevavano bestiame per sostenere le proprie famiglie durante tutto il ciclo delle stagioni.
La tensione tra viticoltori e produttori di vino (che acquistavano le uve) era evidente e creava continui malumori nella parte più debole. La piazza centrale di Alba (CN) era la zona eletta alla compravendita delle uve, una grande borsa delle uve in cui acquirenti e viticoltori cercavano di ottenere il massimo vantaggio dalla controparte.
Le cose però, stanno iniziando a cambiare, era la metà degli anni 70. I contadini iniziavano a guardare con interesse i loro cugini francesi, che riuscivano a vendere e produrre vini di grande qualità con una materia prima simile a quella presente nelle Langhe.
I cambiamenti erano evidenti anche in cantina, dove le barrique in rovere francese stavano iniziando a fare le prime comparse, come ricorda Angelo Gaja, uno dei grandi personaggi della rinascita del Barbaresco.
In quel periodo, alcuni giovani viticoltori delle Langhe, tra cui Elio Altare, di ritorno da alcuni viaggi in Francia, iniziarono a coltivare l’idea che per ottenere un vino superiore, che potesse piacere a determinati mercati, come quello americano, si dovesse modificare il processo di produzione tradizionale del Barolo. I viaggi in Francia si intensificarono, le sperimentazioni si susseguirono incessantemente e l’entusiasmo crebbe costantemente. In questo contesto, Angelo Gaja rilascia sul mercato il suo primo Barbaresco affinato in barrique, era il 1978 ed esso ebbe grande successo di critica, in particolare di quella internazionale.
La barrique iniziava ad affermarsi come alternativa alle botti grandi della tradizione
Negli anni 80, il Barolo si produceva solo con botti grandi, pensare di utilizzare una barrique per produrlo era un’eresia. Il successo di Gaja, le sperimentazioni e le visite in Francia motivarono Elio Altare a fare il salto di qualità. Con un gesto passato alla leggenda, usò una motosega per tagliare le vecchie botti grandi nelle cantine di famiglia. Questo gesto rivoluzionario fece adirare a tal punto il padre che dalla rabbia lo diseredò, un gesto di estremo contrasto.
Ormai il destino era segnato, Elio Altare ed i suoi colleghi rivoluzionari avevano aperto la strada ad una nuova visione del Barolo, che vedeva nell’utilizzo delle barrique un fattore differenziante che avrebbe potuto far innamorare nuovi consumatori.
Cosa cambia se si utilizza una barrique (botte piccola) per produrre Barolo?
La differenza fondamentale è nel fatto che il Barolo in barrique è più godibile nei primi anni e presenta dolci sentori di legno e vaniglia. Queste caratteristiche lo rendevano perfetto per il mercato americano dove questa nuova fronda di produttori trovò un mercato florido e appassionato.
La scelta di utilizzare barrique per produrre barolo fu osteggiata da molti produttori che vollero rimanere legati alla tradizione della botte grande, questi sono definiti “Tradizionalisti”. Si creò un vero e proprio scontro dialettico tra i fautori della botte piccola e della botte grande. I nuovi ribelli, furono chiamati i “Barolo Boys“, all’epoca dei giovani vignaioli carichi di aspettative e passione.